Per arrivare a colpire con un’ipoteca un’azienda che nasce e da subito evade le tasse, Agenzia delle Entrate ed Equitalia impiegano almeno 51 mesi. Per un’analoga riscossione forzosa sull’evasione dei contributi previdenziali e assicurativi, Inps, Inail ed Equitalia hanno bisogno di almeno 25 mesi. Ma nel frattempo le ditte individuali cinesi, la cui vita media è al di sotto dei tre anni di vita, hanno già chiuso e riaperto con un’altra denominazione, spesso intestate a prestanome. A denunciare, nero su bianco, le falle nel sistema di contrasto all’illegalità nel distretto cinese è il procuratore capo Giuseppe Nicolosi, che assieme ai colleghi Lorenzo Gestri e Antonio Sangermano è stato ascoltato nei giorni scorsi al Senato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro e malattie professionali.
L’indagine e i processi sul rogo alla Teresa Moda in cui persero la vita 7 operai cinesi, i risultati del progetto “Lavoro sicuro” con la Regione, e le recenti inchieste sul caporalato nei vigneti del Chianti. Questi i temi che i magistrati pratesi hanno portato all’attenzione dei parlamentari, suggerendo anche alcune modifiche legislative in materia di sicurezza sul lavoro.
Progetto Lavoro sicuro, gli imprenditori cinesi pagano multe per 10 milioni. “Ma la sicurezza non sia un mero costo di impresa”
Nella relazione che il procuratore Nicolosi ha presentato alla commissione presieduta dalla senatrice Camilla Fabbri, sono presentati i dati del piano straordinario Lavoro sicuro, la cui prima fase si concluderà alla fine di questo mese. I 70 ispettori del lavoro assunti dalla Regione, dal 1 settembre 2014 al 31 gennaio 2017, hanno controllato 6691 sulle 7700 aziende cinesi del comparto tessile da ispezionare nei territori di Prato (4 mila imprese), Firenze (2100), Empoli (1300) e Pistoia (300).
Gli accertamenti hanno riguardato la presenza di dormitori, abusi edilizi e bombole di gas nei capannoni e la regolarità di impianti elettrici e macchinari. Nonostante i “limitati” parametri di sicurezza oggetto del controllo, individuati dopo il rogo della Teresa Moda – scrive il procuratore – il 61% delle imprese ispezionate è risultata non in regola. In particolare sono stati scoperti 886 dormitori abusivi, 265 cucine abusive, 1429 impianti elettrici non in regola, in molti casi fatiscenti, e 1523 casi di macchinari non conformi alle normative di sicurezza. Ne sono scaturite 8347 prescrizioni, tradotte in 3857 notizie di reato. L’84% delle imprese ha provveduto a mettersi in regola adempiendo alle prescrizioni e pagando le sanzioni utili ad estinguere i reati. Sono così state incassate multe per ben 9,9 milioni di euro, di cui 5,3 milioni da parte delle aziende cinesi nel territorio di Prato.
Tra gli aspetti positivi c’è anche la crescita delle imprese trovate in regola rispetto all’inizio della campagna di controlli: se a settembre 2014 erano soltanto il 15,9%, a gennaio 2017 erano quasi una su due (anche se il dato pratese è peggiore: 42,7%).
Secondo il procuratore Nicolosi, tuttavia, il salto culturale degli imprenditori cinesi e la loro adesione spontanea alla legislazione in materia di sicurezza sul lavoro è ancora da compiere: “Il rischio – scrive nella relazione – è che l’adempimento della prescrizione a seguito della violazione accertata, ed il pagamento della sanzione, finisca per rappresentare per l’imprenditore datore di lavoro un ‘mero costo di impresa’, anziché una scelta di definitiva accettazione delle condizioni di legalità cui informare il proprio ambiente di lavoro”.
I prestanome e la complicità dei consulenti italiani
Altri segnali poco confortanti arrivano dal massiccio ricorso ai prestanome cui intestare le ditte individuali e dall’alta volatilità delle imprese cinesi. Due fenomeni in cui una parte attiva è giocata dai consulenti professionali che “operano a stretto contatto con l’imprenditoria cinese agevolandone talvolta anche illecitamente il perseguimento delle finalità di profitto”.
I cinesi scelgono le ditte individuali perchè l’apertura avviene con procedura sempificata, affidata a professionisti privati, quali ad esempio consulenti del lavoro o commercialisti.
“In tale contesto – scrive Nicolosi – il ‘filtro’ dfel professionista cui si affida il cliente cinese, aspirante imprenditrore individuale, diviene di fatto l’unica garanzia di verifica ab origine della corrispondenza fra colui che avvia l’impresa, e colui che in realtà la gestirà nel tempo. L’assenza di una corrispondenza fra cliente/imprenditore formale e imprenditore di fatto, diventa poi il ‘momento prodromico’ per la possibile consumazione di una pluralità di illeciti, quali su tutti, quelli di evasione fiscale e contributiva previdenziali”.
“Se infatti – prosegue il procuratore – a tale modalità di apertura e gestione contabile delle ditte si collega il dato obiettivo della rapidissima mortalità delle imprese individuali cinesi, si comprende la ragione per la quale allorquando il controllo dell’Agenzia delle Entrate, della Guardia di Finanza, e dell’Inps viene attivato (ossia solitamente almeno dopo due anni dall’avvio dell’attività di impresa), il titolare formale sarà divenuto ormai irreperibile, non solo perchè la ditta risulterà cessata, ma perchè sin dall’origine aveva rappresentato un mero prestanome, divenendo in tal modo uno schermo soggettivo funzionale a clandestinizzare in via definitiva il reale imprenditore, che in tal modo consegue la garanzia di una definitiva immunità da qualsiasi forma di responsabilità”.
Il procuratore riporta poi negli schemi sottostanti una simulazione dei tempi necessari a riscuotere in via coattiva il credito fiscale o previdenziale dell’imprenditore individuale inadempiente.
Analoghe difficoltà incontra la Procura di Prato nel ricondurre soggettivamente al “datore di lavoro di fatto” la responsabilità penale delle inadempienze in materia di sicurezza sul lavoro. Per accertare il reale imprenditore occorrono infatti indagini accurate come quelle messe in campo per la tragedia della Teresa Moda, in cui furono possibili le intercettazioni telefoniche (autorizzate solo in relazione al delitto di omissione dolosa aggravata di cautele antinfortunistiche) e in cui sono state meticolosamente passati in rassegna documenti e interpellati fornitori, manutentori e clienti dell’azienda. Uno sforzo investigativo importante che si scontra con la “diffusa presenza del fenomeno di clandestinizzazione dell’imprenditore nel circondario pratese” e che deve essere reso “compatibile con i tempi di accertamento del reato, soprattutto laddove si tratti di reati contravvenzionali per violazioni al Testo unico sulla sicurezza sul lavoro”.
I correttivi di legge proposti dalla Procura di Prato
La Procura di Prato ha proposto ai senatori della commissione parlamentare di inchiesta di apportare alcuni correttivi legislativi per potenziare l’azione di contrasto giudiziario in materia di infortuni sui luoghi di lavoro. Si tratta di “correttivi” che nascono dall’esperienza pratese, come quello di inserire tra i reati presupposto della legge sulla responsabilità degli enti (ovvero le imprese) anche quello di omissione dolosa di cautele antinfortunistiche o l’ipotesi speculare, punita a titolo di colpa, prevista dall’articolo 451 del codice penale. Tali provvedimenti consentirebbero di estendere la garanzia della tutela preventiva dei lavoratori a fronte di potenziali rischi di infortunio.
Dario Zona